>>> Luigi Ceccarelli - LA MANO |
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assistente luci Francesco Catacchio foto
di Alessia Contu
rappresentazioni:
Io ho vissuto tutta la vita, si può dire, per mio fratello. Mio fratello è Jerry Olsen. Il grande Jerry Olsen. Ora il suo nome fa paura per il modo in cui morì. Ma prima faceva paura per il modo in cui suonava la chitarra”. La mano è un assillante monologo, una ballata spezzata e sincopata di ricordi, sogni e allucinazioni. In uno sfogo sospeso tra dolcezza e repulsione, Isabel rivive il suo rapporto con il fratello Jerry, un grande del rock, fino alla morte atroce, dopo che lui si è tagliato la mano sinistra - quella che danzava sulle corde della chitarra. Il racconto di questa donna dal “cervello mezzo bruciato” ruota intorno a una canzone infarcita di note e di simboli - una canzone di Jerry, naturalmente, che per lei è l’ultimo punto di riferimento, un messaggio di cui ha però perduto il senso. Attraverso la voce di Isabel, Luca Doninelli lascia esplodere le ossessioni dei protagonisti: il dono terribile e gratuito della musica per Jerry, e per tutti la droga, il sesso, la morte... Ne esce un romanzo estremo anche nella forma, una “soggettiva” impietosa e grottesca. È un flusso di frasi inarrestabile e tortuoso, il frammentario delirio di una coscienza intermittente, da cui emerge però con lancinante chiarezza il cortocircuito tra la libertà assoluta e la regola più rigida. La mano procede come uno degli assoli della chitarra di Jerry, “una specie di mitragliatore che sparava, sparava, sparava, ma dentro questo frastuono si potevano distinguere mille voci diverse: grida di donne, canti angelici, voci di uomini di colore, treni sulla massicciata, motociclette in corsa sotto il sole del deserto”. La mano. Quel che resta del rock Che musica fate? chiese un giornalista. “terrosa”, rispose jerry. La definizione “terrosa” è la cosa che più mi identifica nel racconto di Doninelli. Sembra un aggettivo assurdo, invece l’ho trovato d’istinto logico e perfetto per il mio modo di concepire la musica, esattamente quello che cerco di ottenere in ogni nuovo pezzo: un suono di cui si riconosca la grana intrinseca - meglio se grezza e aspra -, che si possa sbriciolare fino a ridursi in polvere per sentirne il suo odore pungente); un suono allo stesso tempo atavico e presente, che non abbia bisogno di spiegazioni tecniche o storiche, e soprattutto che non appartenga ad alcun genere predefinito: un suono che arriva diretto e basta. Forse, nella cultura del nostro secolo, di tutta la miriade di generi musicali che ascoltiamo ogni giorno, solo la musica rock ha raggiunto questo livello di profondità sonora. Ma non si confonda questa ricerca di immediatezza con la semplicità: come il fluire facile delle note nasconde da sempre una tecnica prodigiosa nata da un ossessivo esercizio, così i suoni, per mantenere il dettaglio della filigrana, hanno bisogno, nella distillazione degli spettri acustici, di essere trattati con la stessa maestria. Quante volte Alvin Lee ha provato un solo ? “La mano” è una emblematica storia della musica rock, e di origine tipicamente rock sono i suoni che accompagnano Isis nel suo monologo, assecondandola nel suo furore o nella suo fragilità. Gli strumenti solisti - voce, chitarra, basso e batteria, come in ogni gruppo rock che si rispetti - sono registrati, assemblati e spazializzati tramite computer. La loro natura viene così continuamente esasperata dall’elaborazione elettronica che trasforma i timbri e i ritmi in sonorità complesse e spaesanti, una via ben più affascinante da quella intrapresa da Jerry, che invano cerca di trovare una soluzione tecnologia alla sua crisi creativa. La musica dello spettacolo è costituita di nove parti, ognuna delle quali è la sintesi di più generi, ed abbraccia idealmente tutta la cultura rock. Riferimenti importanti, dato il carattere della storia e la personalità di Isabel, sono l’heavy metal, il dark rock, l’hard rock e il punk, includendo tutte le infinite correnti che ne sono derivate, ma anche il blues, il rock sinfonico ed il funky hanno ispirato una parte del lavoro. Il riferimento più importante è però al rock degli anni settanta, in cui il concerto si concentrava principalmente sull’esecuzione musicale e non sulle sovrastrutture spettacolari. E’ per questo che si può considerare “La mano” come un concerto tout court. La voce di Ermanna Montanari, è il baricentro di tutta l’opera. Punto di incontro e di sintesi tra suono, testo, immagine, incarna perfettamente la totale sregolatezza di Isabel portando le sonorità vocali oltre il linguaggio della parola e diventando puro suono nel più puro stile rock “terroso”. Pur raccontando la musica rock, “La mano” non vuole essere un’opera tipica del genere, bensì un superamento di quel concetto ormai obsoleto attraverso una sua completa destrutturazione. Come in un’operazione di microchirurgia, gli elementi musicali vengono esplorati con una sorta di lente di ingrandimento virtuale fino al raggiungimento della texture di base, e poi ricomposti in un unico, complesso ritmo, in totale sintesi con la parola e la visione. foto di Enrico Fedrigoli La mano - Rassegna Stampa "Cosa
dicono di Jerry Geremia Olsen?" chiede la voce con un rantolo. "Che
è il più grande chitarrista rock della storia" risponde
la voce. "Probabilmente il più grande, probabilmente!!!"
incalza la voce soffiando tutta la rabbia che ha in corpo. Jerry Olsen
è il protagonista de La Mano, un romanzo di Luca Doninelli portato
sulla scena del teatro Rasi di Ravenna in occasione dell'ultimo Ravenna
Festival. La Mano (sottotitolo De profundis rock) dovrebbe essere un'opera
o qualcosa del genere. SI fa in teatro e la musica ne è indiscussa
protagonista. Ma non ci sono cantanti né orchestra. C'è
invece Ermanna Montanari, straordinaria performer della voce che campeggia
solitaria sulla scena oscura, a tratti circondata da una inquietante figura
muta di Topolino. Attorno nulla, solo un'asta di microfono e le sciabolate
luminose di mille spot, come in un concerto rock. Opera o non opera, La
mano racconta appunto la vicenda di Geremia Olsen, il più grande
- forse - chitarrista della storia del rock che alla fine, divorato dal
dubbio, si uccise tagliandosi la mano con una scure, ossessionato dall'idea
di non essere abbastanza veloce. Ermanna
Montanari, l’attrice che interpreta Isis, la donna che sta in scena,
la voce-corpo (definizione di Marco Martinelli, il regista) a cui tutta
la scena è dedicata, mattatrice sventata e ossessiva, nel perimetro
di quella croce così poco sacra comincia a ruotare su se stessa
e sembra non dover smettere mai. ......... fin dalle prime battute lo
spettacolo, che ha come sottotitolo De profundis rock, procede in stretta
sintonia con la musica rock più speciale che si possa immaginare.
Musica non-rock. Musica oltre il rock. Ma che nasce dal rock o, comunque,
lo riguarda. Musica di Luigi Ceccarelli per un dramma con musica o opera
di teatro musicale, chiamatelo come volete. Melodramma no, per favore. ....E'
teatro e basta: un monodramma, recitato con forza su una corda alta e
tesa..... da Ermanna Montanari, scritto molto bene da Luca Doninelli,
messo in scena con violenza trasfigurata da Marco Martinelli con luci
straordinariamente prospettiche e incisive di Vincent Longuemare, con
scene e costumi sempre assai accorti, pertinenti e "parlanti"
di Edoardo Sanchi. Mettere
in scena la nostra identità musicale di oggi - nostra di noi uomini
a milioni o a miliardi intendo, non dell'anacoreta che se la coltiva per
conto proprio - è forse l'impresa ardua e più disperante
del teatro contemporaneo. C'è da un lato, il fantasma dell'"Opera"
e c'è, dall'altro, una realtà musicale che avendo finalmente
scoperto il mondo fuori dal teatro, pare non abbia alcuna voglia di tornarsene
al chiuso. E' per questo che, da sempre, musica, rock e teatro musicale
appena li metti insieme fanno a pugni. .........
e, come nell"'Isola di Alcina", è una grande Ermanna
Montanari ad assumerne il ruolo, danzando in tondo sulla scena-disco e
inventandosi una voce di roca potenza per battersi col rock teso e tonante
delle risonanze elettroniche di Luigi Ceccarelli, il quale definisce "terrosa"
la sua musica. Ed ecco suor Isis alzare i toni, maschilizzarli e demonizzarsi
a un tempo nella tensione che la spinge verso le cavità infernali
a confondersi con il defunto Jerry. Intanto, dietro le tavole rotanti
della scena, le luci di Vincent Longuemare focalizzano sempre nuovi disegni
di vetrate di antica cattedrale.......... La storia giunge alla fine trascinando
i suoi personaggi nel baratro della maledizione a venire: de profundis
rock Ravenna
Festival, uno dei pochi eventi musicali capaci di aprirsi a quel teatro
che compie una propria originale ricerca sul suono, è stata la
cornice ideale per il debutto italiano de "la Mano", ultimo
spettacolo del Teatro delle Albe diretto da Marco Martinelli e tratto
dall'omonimo romanzo di Luca Doninelli...............una sfida che vede
ancora in primo piano la partitura musicale di Luigi Ceccarelli. Il compositore
elettronico, per questo romanzo-diario .......... costruisce un "de
profundis rock" basato sull'elettricità quella che passa tuonando
dal jack allo strumento o che attraversa le corde vibrate prima di diventare
sound. E questa elettricità, cui il rock ha dato disciplina, è
richiamata in una partitura di suoni sciolti, singole componenti acustiche
non ancora chimicamente legate o sintetizzate. Una evocazione lirica del
rock basata su una grammatica del tutto diversa. Su questo tessuto si
innesta la voce di Ermanna Montanari, che , in partitura rigorosa, segue
i flussi delle distorsioni e le taglienti acidità, dando corpo
sensibile al lamento di Isis, sorella del chitarrista e custode della
sua storia....... Ed è tale la simbiosi profonda tra voce e corpo
musicale a mostrare la superiorità e al contempo un differente
livello d'integrazione rispetto alle altre componenti artistiche, il cui
singolo valore è comunque altissimo, nel quadro di una ricerca
sviluppata in quella zona senza nome, nè categorie e che è
la sola identità d'un vero teatro presente. È
una suora immaginaria ex-tossica e un po' pazza la protagonista de La
mano, il romanzo di Luca Doninelli che Marco Martinelli ha adattato -
o per meglio dire ha ridotto a libretto d'opera - per lo spettacolo del
Teatro delle Albe. ....Perchè
quello evocato dalla protagonista che si chiama Isis è certo un
viaggio agli inferi, alla ricerca del fratello morto: fratello e sposo,
anzi, a dar retta alla traccia indicata dall'omonima divinità del
mito egizio. E il rock non è solo il contenuto ma ancor più
la materia di cui è fatto lo spettacolo. Lo è soprattutto
grazie alla musica scritta da Luigi Ceccarelli che disegna una vera e
propria drammaturgia parallela, ispirandosi ai suoni di quella che ormai
si può considerare la forma classica della seconda metà
del novecento, ma ovviamente contaminandoli dentro le strutture elettroniche
che gli sono abituali. ....
A dare il ritmo acido e nervoso la musica elettronica di Luigi Ceccarelli
che svuota e porta all'essenzialità nuda e cruda un solo chitarristico
che sembra sospeso nell'aria come un bagliore geometrico e improvviso
in una notte senza stelle. Ermanna
Montanari non interpreta un personaggio. Essa lo è, corpo e anima.
...... l’attrice modula e modella a suo piacimento la sua voce unica,
ruvida e ammaliatrice, per interpretare con rabbia tutti i suoi personaggi.
In Isis vestita di nero, una croce simbolica, rosso sangue, incollata
al seno, la diavolessa punk erutta una lava di incantesimi, dalla sua
voce cavernosa, così « terrosa » e penetrante come
la musica de profundis di Luigi Ceccarelli. .....Si
tratta di un monologo ossessivo,costellato di ricordi, di sogni e di allucinazioni.
Magistralmente interpretato da Ermanna Montanari che riesce ad integrare
perfettamente la personalità del suo personaggio, con l’hard
rock ed il punk che fanno da elementi principali. Una scena allo stesso
tempo semplice e fastosa, un luogo circolare dove si svolge integralmente
– o quasi – la scena. Il tutto avvalorato da una musica e
un gioco di luci che non appartengono ad alcun genere riconoscibile.
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